Ryszard Kapuscinski

Leggendo articoli e libri dei vari inviati nel mondo sovente mi viene spontaneo confrontarli con quelli di Ryszard Kapuscinski, lo scrittore e giornalista polacco (1932-2007) considerato uno tra più grandi viaggiatori-reporter e maestro del giornalismo contemporaneo.
Corrispondente dell’Africa è stato inviato in tutti i continenti ed ha seguito rivoluzioni e cambiamenti che ridisegnano la geografia politica della seconda metà del ‘900. Ha pubblicato decine di libri tradotti in oltre trenta lingue. Ha vissuto tutti i grandi eventi e li ha raccontati con uno stile sobrio, semplice ma con grande pathos. Ha raccontato la decolonizzazione africana, lo sgretolamento dell'impero sovietico, le dittature latinoamericane, le guerre dimenticate, il risveglio dell' Islam. Ha rischiato di morire innumerevoli volte. Ha voluto esprimere quello che dovrebbe essere davvero il giornalismo, non un sistema di potere e nemmeno una professione per aver fama e riconoscimenti a scapito dell'altro di cui si scrive. "Il cinico - diceva - non può essere un giornalista. Solo le persone buone, solo coloro che si compromettono con la vita degli altri, possono raccontare quello che gli altri vivono, le loro sofferenze, le loro gioie, i loro sogni. Il sentimento che dovrebbe muovere un buon giornalista si chiama empatia".
La visita che Kapuschinski fece in Alto Adige, nell’Ottobre del 2006 su invito del Centro per la Pace, rimane come l'epilogo di una vita straordinaria, l'ultimo viaggio di uno dei grandi protagonisti del nostro tempo. Allora il suo nome era in cima alla lista dei candidati al Nobel per la Letteratura, insieme a quello di chi poi fu il vincitore, Orhan Pamuk.
E l'ultimo viaggio a Bolzano è stato riletto con evidenza dall'editoria e dai media. Il prestigioso settimanale Newsweek uscì con tre pagine dedicate a Kapuscinski ed a quell’ incontro che ha fatto storia. In Italia è uscito il suo libro: “ Ho dato voce ai poveri ” edito da Il Margine in cui si racconta di quel viaggio e di quell’incontro.
Io ebbi, grazie all’invito degli amici giornalisti e scrittori Paolo Rumiz e Francesco Comina la opportunità di parteciparvi: quei giorni furono davvero memorabili.
Nella lettera in cui diede la sua disponibilità a passare un poco di tempo in quella area dell’ Italia - e poi nel corso delle varie conversazioni- spiegò più compiutamente il motivo del suo assenso nonostante avesse preso la decisione di limitare al massimo i suoi impegni pubblici: «Mi incuriosiva la realtà altoatesina in una terra dove convivono tre gruppi linguistici. Volevo conoscere da vicino come si fa a comunicare, come si mescolano le persone, come si fa l’esperienza diretta dell’alterità, volevo vivere l’esperienza di un incontro con dei giovani, volevo confrontarmi con loro in maniera informale con una gita in montagna, riposarmi un poco».
Lui che aveva vissuto tante tragedie dovute allo scontro etnico, allo scontro tra le culture è stato mosso a venire in una terra in cui questa differenza tra culture non solo non ha provocato tragedie, ma anzi rappresenta una delle terre più floride nel panorama europeo.
Inoltre chiese di fare esperienza con ragazzi che gli avrebbero potuto fare liberamente domande. E così è stato.
La mattina del 17 Ottobre del 2006 salì in funivia al Renon, mescolato ai locali ed ai turisti; ha goduto estasiato della natura dell’Altipiano, della Valle dell’Isarco, del panorama delle Dolomiti. Sull’Altipiano volle passeggiare: con gruppetto di amici abbiamo raggiunto la casa dove visse dal 1922 al 1929 uno dei suoi maestri e “miti”, il grande antropologo polacco-inglese Bronislaw Malinowski, che aveva viaggiato in Oceania.
Ci disse che il motivo della sua stima ed affetto era che fu lo studioso che per primo ha posto il problema dell’altro, degli altri popoli, i totalmente diversi, i primitivi; e che ha sostenuto la tesi secondo la quale per conoscere gli altri dobbiamo incontrarli e stare in mezzo a loro. Confidò inoltre di avere in animo, ultimo suo sogno, di ripercorrere l’itinerario verso l’oceano Pacifico.
Guardando estasiato il paesaggio, l’ eleganza dei masi, il colore degli alberi, i prati ancor verdi nonostante fossimo ad Ottobre avanzato, disse : «Ora capisco perchè Malinowski ha scelto il Renon per vivere alcuni anni con la moglie Elsie e Sigmund Freud qui veniva in villeggiatura. Ma scusate, quanto potrebbe costare quella casa lì? E quell’altra lassù? Mi piacerebbe ritirarmi in queste valli…». Ed ancora « Non conosco la provincia dell’Alto Adige. Ho girato in molti Paesi del mondo, ho vissuto in molte città, ho conosciuto molti popoli e posso dire che siete fortunati a vivere in un luogo così bello, così ricco di storia e con questo meraviglioso patrimonio naturale».
Entrato in una chiesetta, Santa Maria della Neve, dove anche i Malinowski andavano, è rimasto in silenzio, si è fatto il segno della croce, si è seduto, ha acceso una candela prima di uscire. Siamo scesi poi tra boschi e prati verso un maso dove ad attenderlo c’erano gli studenti con i quali poi avrebbe a lungo conversato. Nella stube, sotto l’occhio del Crocefisso e Santi in legno si è, con i presenti, spontaneamente formata una sorte di cenacolo; e lui nel mezzo. Dalla cucina attigua folate di fumo e odore di crauti, nel bovindo due contadini con il grembiule, dai volti simili a quelli usciti dal pennello del pittore fiammingo Hieronimus Bosch, seduti a bere in silenzio. Si è messo a disposizione dei ragazzi, che lavorando per mesi con i loro docenti si erano posti diversi interrogativi. Eccone alcuni, ecco le risposte.
Subito gli hanno ricordato una sua poesia dal titolo “Trovare la parola giusta” che permette di comprendere il senso che attribuisce al suo lavoro. L’ha letta.
“Trovare la parola giusta - che sia nel pieno delle forze - che sia tranquilla - non sia isterica - non abbia la febbre - non sia in depressione – in essa si può confidare - trovare una parola pura - che non abbia denigrato - non abbia denunciato - non abbia preso parte alla caccia alle streghe - non abbia detto che il nero è bianco -si può avere speranza- trovare parole ali - che permettano - di sollevarsi almeno - di un millimetro su tutto questo”.
Ha rivelato che è nata dall’angoscia nel vedere come la cultura contemporanea distrugga la lingua, la sua ricchezza, la sua bellezza e la sua diversità, rendendola sempre più povera e piatta, povera di concetti e di parole. E se la lingua diventa povera le società si distruggono.
Nella sua vita, nei suoi viaggi ha cercato la parola più adeguata, più rispettosa dell’uomo, più autentica, anche perché: “ lo sviluppo dei media ci ha posto davanti a uno dei problemi etici: quello della verità e della menzogna”. Con la vocazione insopprimibile ( “sono sostanzialmente uno sradicato, un emigrato…, la mia casa è altrove…, sono molto curioso del mondo; non ho una tana, sono condannato a errare” ) di raccontare la realtà di coloro che sono più lontani dai riflettori, per lo più sconosciuti, scrisse : “ Devo vivere tra le persone, mangiare con loro, fare la fame con loro. Voglio diventare parte del mondo che descrivo, immergermi e dimenticare ogni altra realtà. Quando sono in Africa non scrivo lettere né telefono a casa. Se non facessi così sarei un outsider. Ho bisogno di illudermi, sia pur fuggevolmente, che il mondo dove mi trovo sia l’unico esistente”.
Ed altrove: “Non posso raccontare come si muoia al fronte standomene seduto in albergo, lontano dalla battaglia. Che ne so di come si svolge la lotta, di quali armi abbiano i soldati, quali vestiti indossino, che cosa mangino e che cosa provino? Bisogna capire la dignità degli altri, accettarli e condividere le loro difficoltà. Rischiare la vita non basta. L’essenziale è il rispetto per le persone di cui si scrive”.
In un suo libro, Lapidarium, dice parlando di sé: “Il tema della mia vita sono i poveri” ed in una sua poesia: “ Solo chi indossa tela grezza - sa accogliere in se stesso – l’altrui sofferenza – sa condividere il dolore”.
Ha viaggiato soprattutto in mezzo ai poveri, ai disperati del mondo, ha condiviso la loro quotidianità fatta di tragedie e difficoltà di ogni genere. Ne è stato il partecipe testimone ed ha sempre denunciato la ingiustizia della loro condizione. Ha così argomentato alla richiesta di commentare il suo avere “indossato la tela grezza”.
Con pacatezza ma con fermezza ci ha spiegato la ragione per cui si è occupato dei poveri e della povertà: “La popolazione mondiale si divide in ricchi e in poveri, questi privi di mezzi e che sono l’ottanta per cento. Non vuol dire che sono tutti affamati, ma poveri perché non rispettati, umiliati, disprezzati: ho dedicato alla povertà tanta attenzione perché il silenzio è il suo tratto caratteristico e perché non ha possibilità di espressione. I poveri non hanno voce, non hanno accesso ai mezzi per raccontare la loro situazione. Qualcuno deve parlare di loro”.Tra gli ultimi della terra, ha sempre ritenuto i milioni di donne e di bambini le vittime della povertà più numerose ed indifese I bambini poi rivivono spesso nei suoi racconti. Di loro dice: “ Penso che i bambini oggi siano gli esseri trattati nel modo più disuguale e che questa sia la più grande ingiustizia che esiste nel mondo. Da una parte una grande ricchezza, un sovrappiù di cose che circondano i bambini, dall’altra sono i più umiliati, più poveri, più sofferenti. Un bambino se nasce in un Paese sviluppato è fortunato, se tra i poveri, sarà tra i più infelici del genere umano. La differenza tra queste due situazioni è oggi uno dei fenomeni sociali più sconvolgenti. Queste ingiuste disuguaglianze diventano sempre più gravi: i bambini del mondo ricco fanno quello che vogliono ed hanno tutto ciò che desiderano, mentre i bambini che non hanno nulla non solo sono privi delle cose indispensabili, ma sono anche coloro che rischiano maggiormente la vita. Nel mondo attuale le vittime, coloro che vengono privati della vita, sono soprattutto i bambini”.
E qui pur mantenendo la consueta pacatezza si fa assai serio in volto e deciso conclude:“ L’accusa più forte che rivolgo nei confronti del mondo contemporaneo è quella di permettere questa spaventosa disuguaglianza fra i bambini”.
Sono state molteplici le domande che hanno spaziato nei più diversi campi: per esempio alla domanda di come è nata la sua vocazione allo scrivere raccontò sorridendo che in realtà voleva fare il calciatore, in particolare il portiere, e già si immaginava di diventare una stella del calcio polacco. Ma un giorno ebbe l’idea di mandare una sua poesia ad una redazione di un giornale che poi gliela pubblicò, ed allora capì che forse la sua vocazione era quella di scrivere; di lì, da quell’ insignificante episodio nacque la sua storia di inviato. Ma comunque ha “assicurato” tutti che continuava ad essere appassionato di calcio……
Alla fine della lunga conversazioni ringraziò e disse la sua riconoscenza per la pazienza avuta nell’ascoltarlo e sornione concluse rivolto ai ragazzi del Liceo “ Sono molto impressionato dalla vostra capacità di sopportazione. Grazie”.
Ed ora mi sia concesso un breve ricordo personale. Finito il pranzo all’aperto, nel prato del maso, dopo alcuni scatti fotografici, mi ha fatto dono di una affettuosa dedica su un suo libro. Conversando liberamente, saputa la mia conoscenza del giornalista parmense Maurizio Chierici mi ha incaricato di salutarlo, manifestando una grande stima per lui. Quando Rumiz gli disse delle mie “follie giovanili” dei miei viaggi in Africa ed in Asia, della mia professione di archeologo che mi ha portato oltre trent’anni fa a lavorare anche in Afghanistan si interessò, volle sapere dei risultati della campagna di scavo della vecchia Kandahar, fondata da Alessandro Magno, magnificò quel fiero popolo.
Ci lasciammo andare a struggenti ricordi.
Gli dissi, mostrandogli la catena del Catinaccio e dello Sciliar, imponenti sopra l’altro versante della valle, che ero reduce dalle campagne di ricerca e scavo degli insediamenti preistorici ad alta quota in quei luoghi, gli parlai del culto del fuoco, dei roghi votivi individuati sulle sommità di alcune vette. Con grande interesse volle sapere e manifestò con estrema umiltà il desiderio in un futuro di salirvi insieme perchè affascinato da quei riti antichissimi.
Ci siamo riproposti di rincontrarci. Non è avvenuto. Mi piace immaginare che ora forse contempla quelle cime dall’alto.
Dicevo che quella sua visita in Alto Adige fu un evento che si colorò di eccezionalità perché l’ultimo viaggio prima della morte avvenuta quasi improvvisa poche settimane dopo.
La moglie e la figlia hanno testimoniato quell’ ultimo suo viaggio terreno con queste parole:
“Quando tornò a casa a Varsavia ci raccontò alcuni splendidi ricordi, aneddoti e impressioni di quelle giornate. Stava pensando di tornare in quei luoghi di rara bellezza nei prossimi mesi per incontrare di nuovo gli amici e i lettori dei suoi libri.
Rimase colpito sia per la bellezza paesaggistica e naturale sia perché quei luoghi sono legati a uno dei suoi "miti", l'antropologo polacco Bronislaw Malinowski che visse alcuni anni da quelle parti e dove ancora si trova la sua casa che Ryszard visitò.
Ma più di tutto amò il tempo trascorso al Renon con gli studenti Liceali: rimase impressionato e commosso dalla preparazione e dall'interesse dei ragazzi nei suoi libri, dal livello di comprensione delle difficili questioni trattate e dalle domande da loro poste.
Era molto importante per lui che dei giovani avessero letto i suoi libri e che le nuove generazioni si dimostrassero interessate ai problemi di un mondo complesso, multiculturale e ai temi della giustizia sociale, dei poveri e dei sottomessi.
Quei giorni hanno trovato testimonianza nel libro "Ho dato voce ai poveri". Tradotto in polacco i lettori si stanno chiedendo: chi sono quelle splendide persone italiane, quei fantastici giovani che si erano incuriositi così tanto del giornalista polacco ? E noi gli raccontiamo di voi e della sua splendida esperienza avendovi conosciuti”.
Questi i sentimenti che si era portato da quell’ incontro.
Nella intensissima biografia e produzione letteraria di questo straordinario reporter il racconto della sua vita fatto ai ragazzi ed agli amici riuniti sull’Altipiano del Renon rappresenta metaforicamente quindi quasi il suo testamento morale; il suo ultimo soggiorno in Italia, in Alto Adige, l’ultima tappa alla chiusura di una vita.
Quando si è accomiatato ed è salito sull’aereo per Varsavia nessuno, nemmeno lui avrebbe immaginato che sarebbe stato il penultimo “volo” e che dopo poco sarebbe ripartito…. per sempre.
Sandro Bonardi
Corrispondente dell’Africa è stato inviato in tutti i continenti ed ha seguito rivoluzioni e cambiamenti che ridisegnano la geografia politica della seconda metà del ‘900. Ha pubblicato decine di libri tradotti in oltre trenta lingue. Ha vissuto tutti i grandi eventi e li ha raccontati con uno stile sobrio, semplice ma con grande pathos. Ha raccontato la decolonizzazione africana, lo sgretolamento dell'impero sovietico, le dittature latinoamericane, le guerre dimenticate, il risveglio dell' Islam. Ha rischiato di morire innumerevoli volte. Ha voluto esprimere quello che dovrebbe essere davvero il giornalismo, non un sistema di potere e nemmeno una professione per aver fama e riconoscimenti a scapito dell'altro di cui si scrive. "Il cinico - diceva - non può essere un giornalista. Solo le persone buone, solo coloro che si compromettono con la vita degli altri, possono raccontare quello che gli altri vivono, le loro sofferenze, le loro gioie, i loro sogni. Il sentimento che dovrebbe muovere un buon giornalista si chiama empatia".
La visita che Kapuschinski fece in Alto Adige, nell’Ottobre del 2006 su invito del Centro per la Pace, rimane come l'epilogo di una vita straordinaria, l'ultimo viaggio di uno dei grandi protagonisti del nostro tempo. Allora il suo nome era in cima alla lista dei candidati al Nobel per la Letteratura, insieme a quello di chi poi fu il vincitore, Orhan Pamuk.
E l'ultimo viaggio a Bolzano è stato riletto con evidenza dall'editoria e dai media. Il prestigioso settimanale Newsweek uscì con tre pagine dedicate a Kapuscinski ed a quell’ incontro che ha fatto storia. In Italia è uscito il suo libro: “ Ho dato voce ai poveri ” edito da Il Margine in cui si racconta di quel viaggio e di quell’incontro.
Io ebbi, grazie all’invito degli amici giornalisti e scrittori Paolo Rumiz e Francesco Comina la opportunità di parteciparvi: quei giorni furono davvero memorabili.
Nella lettera in cui diede la sua disponibilità a passare un poco di tempo in quella area dell’ Italia - e poi nel corso delle varie conversazioni- spiegò più compiutamente il motivo del suo assenso nonostante avesse preso la decisione di limitare al massimo i suoi impegni pubblici: «Mi incuriosiva la realtà altoatesina in una terra dove convivono tre gruppi linguistici. Volevo conoscere da vicino come si fa a comunicare, come si mescolano le persone, come si fa l’esperienza diretta dell’alterità, volevo vivere l’esperienza di un incontro con dei giovani, volevo confrontarmi con loro in maniera informale con una gita in montagna, riposarmi un poco».
Lui che aveva vissuto tante tragedie dovute allo scontro etnico, allo scontro tra le culture è stato mosso a venire in una terra in cui questa differenza tra culture non solo non ha provocato tragedie, ma anzi rappresenta una delle terre più floride nel panorama europeo.
Inoltre chiese di fare esperienza con ragazzi che gli avrebbero potuto fare liberamente domande. E così è stato.
La mattina del 17 Ottobre del 2006 salì in funivia al Renon, mescolato ai locali ed ai turisti; ha goduto estasiato della natura dell’Altipiano, della Valle dell’Isarco, del panorama delle Dolomiti. Sull’Altipiano volle passeggiare: con gruppetto di amici abbiamo raggiunto la casa dove visse dal 1922 al 1929 uno dei suoi maestri e “miti”, il grande antropologo polacco-inglese Bronislaw Malinowski, che aveva viaggiato in Oceania.
Ci disse che il motivo della sua stima ed affetto era che fu lo studioso che per primo ha posto il problema dell’altro, degli altri popoli, i totalmente diversi, i primitivi; e che ha sostenuto la tesi secondo la quale per conoscere gli altri dobbiamo incontrarli e stare in mezzo a loro. Confidò inoltre di avere in animo, ultimo suo sogno, di ripercorrere l’itinerario verso l’oceano Pacifico.
Guardando estasiato il paesaggio, l’ eleganza dei masi, il colore degli alberi, i prati ancor verdi nonostante fossimo ad Ottobre avanzato, disse : «Ora capisco perchè Malinowski ha scelto il Renon per vivere alcuni anni con la moglie Elsie e Sigmund Freud qui veniva in villeggiatura. Ma scusate, quanto potrebbe costare quella casa lì? E quell’altra lassù? Mi piacerebbe ritirarmi in queste valli…». Ed ancora « Non conosco la provincia dell’Alto Adige. Ho girato in molti Paesi del mondo, ho vissuto in molte città, ho conosciuto molti popoli e posso dire che siete fortunati a vivere in un luogo così bello, così ricco di storia e con questo meraviglioso patrimonio naturale».
Entrato in una chiesetta, Santa Maria della Neve, dove anche i Malinowski andavano, è rimasto in silenzio, si è fatto il segno della croce, si è seduto, ha acceso una candela prima di uscire. Siamo scesi poi tra boschi e prati verso un maso dove ad attenderlo c’erano gli studenti con i quali poi avrebbe a lungo conversato. Nella stube, sotto l’occhio del Crocefisso e Santi in legno si è, con i presenti, spontaneamente formata una sorte di cenacolo; e lui nel mezzo. Dalla cucina attigua folate di fumo e odore di crauti, nel bovindo due contadini con il grembiule, dai volti simili a quelli usciti dal pennello del pittore fiammingo Hieronimus Bosch, seduti a bere in silenzio. Si è messo a disposizione dei ragazzi, che lavorando per mesi con i loro docenti si erano posti diversi interrogativi. Eccone alcuni, ecco le risposte.
Subito gli hanno ricordato una sua poesia dal titolo “Trovare la parola giusta” che permette di comprendere il senso che attribuisce al suo lavoro. L’ha letta.
“Trovare la parola giusta - che sia nel pieno delle forze - che sia tranquilla - non sia isterica - non abbia la febbre - non sia in depressione – in essa si può confidare - trovare una parola pura - che non abbia denigrato - non abbia denunciato - non abbia preso parte alla caccia alle streghe - non abbia detto che il nero è bianco -si può avere speranza- trovare parole ali - che permettano - di sollevarsi almeno - di un millimetro su tutto questo”.
Ha rivelato che è nata dall’angoscia nel vedere come la cultura contemporanea distrugga la lingua, la sua ricchezza, la sua bellezza e la sua diversità, rendendola sempre più povera e piatta, povera di concetti e di parole. E se la lingua diventa povera le società si distruggono.
Nella sua vita, nei suoi viaggi ha cercato la parola più adeguata, più rispettosa dell’uomo, più autentica, anche perché: “ lo sviluppo dei media ci ha posto davanti a uno dei problemi etici: quello della verità e della menzogna”. Con la vocazione insopprimibile ( “sono sostanzialmente uno sradicato, un emigrato…, la mia casa è altrove…, sono molto curioso del mondo; non ho una tana, sono condannato a errare” ) di raccontare la realtà di coloro che sono più lontani dai riflettori, per lo più sconosciuti, scrisse : “ Devo vivere tra le persone, mangiare con loro, fare la fame con loro. Voglio diventare parte del mondo che descrivo, immergermi e dimenticare ogni altra realtà. Quando sono in Africa non scrivo lettere né telefono a casa. Se non facessi così sarei un outsider. Ho bisogno di illudermi, sia pur fuggevolmente, che il mondo dove mi trovo sia l’unico esistente”.
Ed altrove: “Non posso raccontare come si muoia al fronte standomene seduto in albergo, lontano dalla battaglia. Che ne so di come si svolge la lotta, di quali armi abbiano i soldati, quali vestiti indossino, che cosa mangino e che cosa provino? Bisogna capire la dignità degli altri, accettarli e condividere le loro difficoltà. Rischiare la vita non basta. L’essenziale è il rispetto per le persone di cui si scrive”.
In un suo libro, Lapidarium, dice parlando di sé: “Il tema della mia vita sono i poveri” ed in una sua poesia: “ Solo chi indossa tela grezza - sa accogliere in se stesso – l’altrui sofferenza – sa condividere il dolore”.
Ha viaggiato soprattutto in mezzo ai poveri, ai disperati del mondo, ha condiviso la loro quotidianità fatta di tragedie e difficoltà di ogni genere. Ne è stato il partecipe testimone ed ha sempre denunciato la ingiustizia della loro condizione. Ha così argomentato alla richiesta di commentare il suo avere “indossato la tela grezza”.
Con pacatezza ma con fermezza ci ha spiegato la ragione per cui si è occupato dei poveri e della povertà: “La popolazione mondiale si divide in ricchi e in poveri, questi privi di mezzi e che sono l’ottanta per cento. Non vuol dire che sono tutti affamati, ma poveri perché non rispettati, umiliati, disprezzati: ho dedicato alla povertà tanta attenzione perché il silenzio è il suo tratto caratteristico e perché non ha possibilità di espressione. I poveri non hanno voce, non hanno accesso ai mezzi per raccontare la loro situazione. Qualcuno deve parlare di loro”.Tra gli ultimi della terra, ha sempre ritenuto i milioni di donne e di bambini le vittime della povertà più numerose ed indifese I bambini poi rivivono spesso nei suoi racconti. Di loro dice: “ Penso che i bambini oggi siano gli esseri trattati nel modo più disuguale e che questa sia la più grande ingiustizia che esiste nel mondo. Da una parte una grande ricchezza, un sovrappiù di cose che circondano i bambini, dall’altra sono i più umiliati, più poveri, più sofferenti. Un bambino se nasce in un Paese sviluppato è fortunato, se tra i poveri, sarà tra i più infelici del genere umano. La differenza tra queste due situazioni è oggi uno dei fenomeni sociali più sconvolgenti. Queste ingiuste disuguaglianze diventano sempre più gravi: i bambini del mondo ricco fanno quello che vogliono ed hanno tutto ciò che desiderano, mentre i bambini che non hanno nulla non solo sono privi delle cose indispensabili, ma sono anche coloro che rischiano maggiormente la vita. Nel mondo attuale le vittime, coloro che vengono privati della vita, sono soprattutto i bambini”.
E qui pur mantenendo la consueta pacatezza si fa assai serio in volto e deciso conclude:“ L’accusa più forte che rivolgo nei confronti del mondo contemporaneo è quella di permettere questa spaventosa disuguaglianza fra i bambini”.
Sono state molteplici le domande che hanno spaziato nei più diversi campi: per esempio alla domanda di come è nata la sua vocazione allo scrivere raccontò sorridendo che in realtà voleva fare il calciatore, in particolare il portiere, e già si immaginava di diventare una stella del calcio polacco. Ma un giorno ebbe l’idea di mandare una sua poesia ad una redazione di un giornale che poi gliela pubblicò, ed allora capì che forse la sua vocazione era quella di scrivere; di lì, da quell’ insignificante episodio nacque la sua storia di inviato. Ma comunque ha “assicurato” tutti che continuava ad essere appassionato di calcio……
Alla fine della lunga conversazioni ringraziò e disse la sua riconoscenza per la pazienza avuta nell’ascoltarlo e sornione concluse rivolto ai ragazzi del Liceo “ Sono molto impressionato dalla vostra capacità di sopportazione. Grazie”.
Ed ora mi sia concesso un breve ricordo personale. Finito il pranzo all’aperto, nel prato del maso, dopo alcuni scatti fotografici, mi ha fatto dono di una affettuosa dedica su un suo libro. Conversando liberamente, saputa la mia conoscenza del giornalista parmense Maurizio Chierici mi ha incaricato di salutarlo, manifestando una grande stima per lui. Quando Rumiz gli disse delle mie “follie giovanili” dei miei viaggi in Africa ed in Asia, della mia professione di archeologo che mi ha portato oltre trent’anni fa a lavorare anche in Afghanistan si interessò, volle sapere dei risultati della campagna di scavo della vecchia Kandahar, fondata da Alessandro Magno, magnificò quel fiero popolo.
Ci lasciammo andare a struggenti ricordi.
Gli dissi, mostrandogli la catena del Catinaccio e dello Sciliar, imponenti sopra l’altro versante della valle, che ero reduce dalle campagne di ricerca e scavo degli insediamenti preistorici ad alta quota in quei luoghi, gli parlai del culto del fuoco, dei roghi votivi individuati sulle sommità di alcune vette. Con grande interesse volle sapere e manifestò con estrema umiltà il desiderio in un futuro di salirvi insieme perchè affascinato da quei riti antichissimi.
Ci siamo riproposti di rincontrarci. Non è avvenuto. Mi piace immaginare che ora forse contempla quelle cime dall’alto.
Dicevo che quella sua visita in Alto Adige fu un evento che si colorò di eccezionalità perché l’ultimo viaggio prima della morte avvenuta quasi improvvisa poche settimane dopo.
La moglie e la figlia hanno testimoniato quell’ ultimo suo viaggio terreno con queste parole:
“Quando tornò a casa a Varsavia ci raccontò alcuni splendidi ricordi, aneddoti e impressioni di quelle giornate. Stava pensando di tornare in quei luoghi di rara bellezza nei prossimi mesi per incontrare di nuovo gli amici e i lettori dei suoi libri.
Rimase colpito sia per la bellezza paesaggistica e naturale sia perché quei luoghi sono legati a uno dei suoi "miti", l'antropologo polacco Bronislaw Malinowski che visse alcuni anni da quelle parti e dove ancora si trova la sua casa che Ryszard visitò.
Ma più di tutto amò il tempo trascorso al Renon con gli studenti Liceali: rimase impressionato e commosso dalla preparazione e dall'interesse dei ragazzi nei suoi libri, dal livello di comprensione delle difficili questioni trattate e dalle domande da loro poste.
Era molto importante per lui che dei giovani avessero letto i suoi libri e che le nuove generazioni si dimostrassero interessate ai problemi di un mondo complesso, multiculturale e ai temi della giustizia sociale, dei poveri e dei sottomessi.
Quei giorni hanno trovato testimonianza nel libro "Ho dato voce ai poveri". Tradotto in polacco i lettori si stanno chiedendo: chi sono quelle splendide persone italiane, quei fantastici giovani che si erano incuriositi così tanto del giornalista polacco ? E noi gli raccontiamo di voi e della sua splendida esperienza avendovi conosciuti”.
Questi i sentimenti che si era portato da quell’ incontro.
Nella intensissima biografia e produzione letteraria di questo straordinario reporter il racconto della sua vita fatto ai ragazzi ed agli amici riuniti sull’Altipiano del Renon rappresenta metaforicamente quindi quasi il suo testamento morale; il suo ultimo soggiorno in Italia, in Alto Adige, l’ultima tappa alla chiusura di una vita.
Quando si è accomiatato ed è salito sull’aereo per Varsavia nessuno, nemmeno lui avrebbe immaginato che sarebbe stato il penultimo “volo” e che dopo poco sarebbe ripartito…. per sempre.
Sandro Bonardi